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domenica 3 ottobre 2010

Morire è bello...secondo Socrate!

Stavolta vado un attimo sul filosofico spinto, però mi è saltato in mente questo pezzo splendido dell'Apologia di Socrate e mi piace scriverlo e farvelo leggere. Il testo è scritto da Platone, che in quanto discepolo di Socrate stesso si è preso il permesso di far uscire direttamente dalla bocca del suo maestro il racconto del processo che ha condotto il filosofo alla morte per avvelenamento da cicuta. In questo pezzo parla Socrate che usando la sua famosa dialettica riesce nell'intento di far passare la morte, temuta da tutti gli uomini, come un avvenimento lieto.



In grassetto ho evidenziato i passaggi fondamentali, se siete così pigri da non leggere tutto, basterà leggere quello :)

"[...]
Jacques-Louis David, La morte di Socrate,1787
XXXII - E vediamo con questo ragionamento di capire perchè c'è da sperare molto che (la morte) sia un bene. Infatti morire è una delle due cose: o è come non essere nulla, e il morto non ha più alcun sentimento di alcuna cosa; o, invece, dicono, è una specie di transito e tramutazione dell'anima da questo luogo qui ad un altro luogo. E se non c'è alcun sentimento, ed è come un sonno come quando, dormendo, non si sogna nulla, allora la morte sarebbe un guadagno meraviglioso. Per questo io penso che se mai alcuno scegliesse una notte simile, nella quale si fosse addormentato così prodondamente da non avere alcun sogno, e paragonando a quella le altre notti e i giorni di sua vita, ed esaminando, dovesse poi dire quante notti e giorni ha passato nella sua vita in modo migliore e può dolce di quella (notte), penso che, non solo un privato uomo qualsiasi, ma altresì il gran re ne troverebbe molto pochi di giorni e notti simili a questa. E se la morte è così, allora è un guadagno, io dico; poichè l'eternità non sembra più lunga di una sola notte. Se poi la morte è una peregrinazione da qui ad un altro luogo, ed è vero tutto quello che si dice, e cioè che là abitano tutti i morti, che bene maggiore di questo potrebbe mai esserci, o giudici? Poichè se qualcuno, giungendo nell'Ade, liberatosi di questi che qua si danno nome di giudici, troverà i veri giudici, che si dice che anche là giudicano, Minosse e Radamanto ed Eaco e Triptolemo, e tutti gli altri semidei i quali in vita furono giusti; forse che sarebbe da disprezzare tale peregrinazione? O, al contrario, quanto pagherebbe chiunque di voi per poter conversare con Museo e Orfeo ed Esiodo e Omero? Se ciò è vero, vorrei morire molte volte. Oh come sarebbe meravigliosa la mia conversazione, quando mi imbattessi con Palamede, e Aiace di Telamone, e in qualunque altro di quegli antichi, morti per ingusto giudizio! Certo, non mi dispiacerebbe paragonare i miei casi ai loro; e soprattutto passare il tempo esaminando e scrutando quelli di là, cme facevo con questi di qua, e vedere chi è savio tra quelli, e chi chirede di esserlo e non lo è. Chi di voi, o giudici, non pagherebbe se potesse interrogare colui che condusse il grande esercito contro Troia, o Ulisse, o Sisifo, o tanti altri uomini e donne che potrei nominare io; e a ragionare e conversare di là con essi, ed esaminare? Sarebbe una tale beatitudine, che difficile è da esprimere. Né mai capita che quelli di là uccidano a causa di codesto esame; perchè, tra le altre cose per cui quelli di la sono più felici di questi di qua, è che quelli sono perpetuamente immortali, se è vero ciò che si dice.[...]"

E allora Platone vuole far vedere come Socrate riesca a volgere a suo favore con la dialettica anche la peggiore delle situazioni. Quando egli è sul patibolo, ormai certo della condanna a morte, riesce infatti a ribaltare il punto di vista e ad affermare che in fondo, questa morte inflittagli tanto male non è.

Tanto di cappello Socrate, anzi, Platone...

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