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venerdì 9 giugno 2023

Le 5 fasi dell'alluvione

Attesa, isolamento, furia, accettazione, rinascita. Le cinque fasi che si sono susseguite nell'alluvione romagnola.

L'attesa

Un giorno lavorativo come un altro, sotto la pioggia. Un'allerta rossa come un'altra della protezione civile, qualcuno diceva, non succederà niente. Le prime avvisaglie che non sarebbe stato così sono arrivate con gli impauriti messaggi del Sindaco, che preannunciavano l'apocalisse.

Le persone delle case più vicine ai fiumi cercavano sacchi di sabbia, non si sapeva bene dove trovarli. Alla protezione civile di via Cadore non venivano distribuiti, "si è rotta la macchina per farli" ci hanno detto e noi non eravamo coperti dall'assicurazione, quindi non potevamo assolutamente farceli da soli. Ai Romiti invece il Quartiere si era fatto portare un camion di sabbia e una calca di cittadini, più ordinata di quello che sarebbe stata se avessero conosciuto gli esiti dell'alluvione, riempiva i sacchi in mezzo ad un via vai di auto e furgoni. Se quello era il buongiorno, qualcosa dovevamo capire.

Nessuno sapeva se, dove e quando i fiumi sarebbero esondati per cui tutti, nessuno escluso, quella sera ha avuto paura. Quando è saltata la luce in quasi tutta la città nessuno sapeva che via Lunga era già diventata un fiume e la centrale di distribuzione Enel era finita sott'acqua. Arrivavano notizie disastrose da via Cormons: la gente è sui tetti dicevano, la portano via con gli elicotteri, al buio, in mezzo alla tempesta. Ognuno guardava ansiosamente fuori casa: dove arriva l'acqua? Noi siamo al sicuro? Non si sa.

Iniziano ad arrivare messaggi e telefonate inquietanti. Richieste di aiuto disperate. I vicini dei piani superiori che accoglievano chi stava più in basso e nel giro di pochi minuti si è visto riempire casa di acqua e fango. Neanche il tempo di salvare qualche oggetto. L'acqua non era ferma e non era acqua. Un misto fango e oggetti trascinati, auto comprese, rendeva impossibile la fuga dalle abitazioni. Si poteva solo salire, per chi poteva, e aspettare, tutta la notte, al buio, nel rumore dell'acqua che scorre sotto e dentro casa.

L'isolamento

Senza corrente elettrica alcuni telefoni si sono scaricati, alcuni operatori telefonici hanno smesso di funzionare. Non si poteva stare in contatto coi propri familiari anche se erano ad un isolato di distanza, e non si sapeva se all'isolato di distanza era arrivata l'acqua o meno. Si poteva solo guardare fuori dalla finestra. La città ha dormito poco.


Quello che la luce del giorno successivo ha mostrato era uno scenario impensabile. Il quartiere una immensa piscina di fango sospeso, che lentamente si depositava sul fondo stradale e sui pavimenti delle case in misura di diverse decine di centimetri. I primi soccorsi portavano via dalle case distrutte i migliaia di residenti che erano rimasti isolati. L'isolamento dopo oltre un giorno era finito quasi per tutti, in mezzo alla piscina di fango una famiglia alla volta tornava coi piedi all'asciutto, coi bambini in braccio e con tutto quello che era rimasto chiuso in uno zaino.

I più fortunati andavano a casa dei parenti, gli altri alla Fiera, dove era stato allestito un punto di raccolta per gli sfollati in un'unica gigantesca camerata decisamente poco accogliente.

La furia del volontario

I più temerari hanno iniziato ad arrivare sul posto quando l'acqua era ancora al ginocchio. Alcune persone che non se ne erano volute andare di casa hanno visto i primi amici che gli hanno regalato un abbraccio e, nel migliore dei casi, un power bank. Non si poteva fare molto più che dare conforto, in quel primo momento.

Nei giorni successivi invece i volontari sono arrivati a migliaia. E' stata evidente da subito la necessità di un coordinamento, messo in piedi come si poteva dai quartieri. La situazione era molto più che drammatica, nelle case e nelle strade. I volontari arrivavano con grande energia, si spendevano senza risparmiarsi in lavori faticosi anche oltre le proprie possibilità, in mezzo ad un fango chiaramente tossico, spesso tralasciando o sottovalutando i pericoli ad intervenire in quelle zone, in quelle condizioni.

Non c'erano pompe, idrovore, ruspe. Solo badili e pale.



Nella maggior parte dei casi, ciò che il fango aveva toccato era da buttare. Era evidente fin da subito a chi da fuori entrava nelle sale, nei garage e nelle cantine. Ciò che per i volontari era fango e rifiuti da lanciare rapidamente fuori dalle case, per i residenti erano però ricordi, parte di una casa in cui avevano vissuto tanti anni, erano anche fotografie, vestiti, oggetti che si sarebbero voluti salvare. L'energia del volontario, che quasi col sorriso spostava sul marciapiede ciò che fino al giorno prima era sulle mensole e negli armadietti, contrastava brutalmente con lo stato d'animo dei proprietari di casa. In pochi hanno dato peso all'empatia, dando sfogo solamente ad una manifestazione di pura forza e lasciando l'emotività a quando la sera faceva buio, tutti se ne andavano, ed i residenti rimanevano soli, con la loro casa vuota.

L'assenza di un coordinamento ha reso difficile far capire tutto questo, come ha reso impossibile gestire bene le situazioni davvero critiche. Ragazzi giovani, persone con tanti amici e famiglie benestanti in qualche modo se la sono cavata e se la caveranno. Tra le migliaia di alluvionati però, ci sono anche anziani soli, persone con poco margine di manovra dal punto di vista economico. Sono pochi percentualmente, per fortuna, nei nostri quartieri, ma il numero di persone colpite è talmente grande che numericamente parliamo di centinaia di persone in grave difficoltà. Persone senza una cucina che non se ne fanno niente di un pacco di pasta, persone senza acqua calda per oltre una settimana, persone psicologicamente traumatizzate che non hanno le forze emotive per chiedere aiuto, a volte neanche per uscire di casa. Di queste persone, in pochi si sono presi cura, in pochissimi hanno tentato di farne un censimento.

L'accettazione

Non è facile accettare ciò che è successo. E' difficile per un giovane dinamico e con tanti amici e una famiglia alle spalle, figuriamoci per persone sole, anziane. Questo è un colpo che difficilmente può essere incassato senza conseguenze psicologiche. Il fango non è solo nelle strade e nei garage, si infila ovunque, anche dentro le persone. L'aspetto psicologico come sempre viene trascurato, relegando tutto ad una mera questione materiale che è solo parte del problema.

Una volta che i volontari hanno svuotato le case, che è sparito il fango dai pavimenti, che le strade assumono una parvenza di normalità, le persone restano sole con la tragedia che li ha colpiti. Non ci sono più giovani che cantano in strada, selfie nel fango, non c'è più il testa bassa e pedalare. C'è un momento di attesa dove si fanno i conti con tutto ciò che si è perso.



Se poi a tutto questo si aggiungono altre piogge, la tensione nel vedere che l'acqua si alza di nuovo perché l'impianto fognario è quasi ovunque al collasso, le cantine che vengono asciugate ma si riallagano continuamente dopo oltre 20 giorni di fatica, si capisce quale sia la situazione emotiva delle persone e come queste, soprattutto le più fragili, abbiano bisogno di un supporto.

La rinascita

Ancora una volta è il momento di garantire una ripresa rapida con un aiuto economico, ma su questo le cose sono semplici: i soldi devono arrivare a chi ha perso casa e auto.

Ma è anche il momento di comunicare, a tutti i residenti dei quartieri colpiti, l'intenzione da parte delle istituzioni di mettere al sicuro questo territorio perché quanto successo non ricapiti più. In primo luogo attraverso gli interventi di pulizia e in alcuni casi ricostruzione dell'impianto fognario, in secondo attraverso grandi opere che partano dalle aree montane, che sono il luogo dove la maggior parte dell'acqua è stata raccolta, e arrivino fino alla pianura dove non basteranno due casse di espansione ma servirà una vera e propria reingegnerizzazione del sistema fluviale e della pianificazione urbanistica.

E' poi un tema importantissimo l'emergenza abitativa. Bisogna garantire a tutti coloro che non possono abitare in casa loro una abitazione dignitosa, effettuando un censimento delle reali esigenze di ognuno e dando priorità a chi non ha parenti stretti in grado di ospitare. E' necessario anche censire il patrimonio immobiliare sfitto, ed agevolare i proprietari delle abitazioni libere ed in buone condizioni ad affittare queste case agli alluvionati a prezzi calmierati dalle istituzioni.

Infine un tema apparentemente secondario: quello delle aree verdi. L'importanza delle aree verdi è sia ambientale che sociale. Alcuni spazi verdi della città, primo fra tutti il bellissimo Parco Urbano Franco Agosto, sono in condizioni di grande sofferenza. Non possiamo tralasciare questo aspetto perché dobbiamo concentrarci sui cittadini in difficoltà nelle loro case, dobbiamo avere la forza, come società, di seguire entrambe le cose. I parchi non sono luoghi "naturali", sono luoghi fortemente antropizzati dove la natura è stata guidata per essere accogliente per noi uomini. I grandi alberi che vediamo ora nei parchi hanno 30 anni o più e rappresentano un patrimonio che non possiamo perdere e che non si può rigenerare rapidamente. Se lasciati al corso della natura senza interventi, i parchi inondati dal fango non saranno più accoglienti per anni, perché i tempi della natura sono lunghi e non basterà piantare qualche alberello per riaverli come prima.

Questo ultimo paragrafo è più un auspicio che un racconto di ciò che è successo, perché la rinascita è ancora lontana da venire. Le strade pulite non sono affatto indice di normalità, dietro alle porte di casa resta il disastro e la paura di abitare in una casa non più sicura, insieme alla privazione degli spazi pubblici di socialità. La rinascita arriverà, la Romagna terrà botta, ma tra tenere botta e ricostruire una Romagna migliore c'è l'abisso dell'abbandono degli ultimi e del far tornare tutto come prima, senza che questo disastro ci abbia insegnato qualcosa.

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