Attesa, isolamento, furia, accettazione, rinascita. Le cinque fasi che si sono susseguite nell'alluvione romagnola.
L'attesa
Un giorno lavorativo come un altro, sotto la pioggia. Un'allerta rossa come un'altra della protezione civile, qualcuno diceva, non succederà niente. Le prime avvisaglie che non sarebbe stato così sono arrivate con gli impauriti messaggi del Sindaco, che preannunciavano l'apocalisse.
L'isolamento
Senza corrente elettrica alcuni telefoni si sono scaricati, alcuni operatori telefonici hanno smesso di funzionare. Non si poteva stare in contatto coi propri familiari anche se erano ad un isolato di distanza, e non si sapeva se all'isolato di distanza era arrivata l'acqua o meno. Si poteva solo guardare fuori dalla finestra. La città ha dormito poco.
I più fortunati andavano a casa dei parenti, gli altri alla Fiera, dove era stato allestito un punto di raccolta per gli sfollati in un'unica gigantesca camerata decisamente poco accogliente.
La furia del volontario
Nei giorni successivi invece i volontari sono arrivati a migliaia. E' stata evidente da subito la necessità di un coordinamento, messo in piedi come si poteva dai quartieri. La situazione era molto più che drammatica, nelle case e nelle strade. I volontari arrivavano con grande energia, si spendevano senza risparmiarsi in lavori faticosi anche oltre le proprie possibilità, in mezzo ad un fango chiaramente tossico, spesso tralasciando o sottovalutando i pericoli ad intervenire in quelle zone, in quelle condizioni.
Non c'erano pompe, idrovore, ruspe. Solo badili e pale.
L'assenza di un coordinamento ha reso difficile far capire tutto questo, come ha reso impossibile gestire bene le situazioni davvero critiche. Ragazzi giovani, persone con tanti amici e famiglie benestanti in qualche modo se la sono cavata e se la caveranno. Tra le migliaia di alluvionati però, ci sono anche anziani soli, persone con poco margine di manovra dal punto di vista economico. Sono pochi percentualmente, per fortuna, nei nostri quartieri, ma il numero di persone colpite è talmente grande che numericamente parliamo di centinaia di persone in grave difficoltà. Persone senza una cucina che non se ne fanno niente di un pacco di pasta, persone senza acqua calda per oltre una settimana, persone psicologicamente traumatizzate che non hanno le forze emotive per chiedere aiuto, a volte neanche per uscire di casa. Di queste persone, in pochi si sono presi cura, in pochissimi hanno tentato di farne un censimento.
L'accettazione
Non è facile accettare ciò che è successo. E' difficile per un giovane dinamico e con tanti amici e una famiglia alle spalle, figuriamoci per persone sole, anziane. Questo è un colpo che difficilmente può essere incassato senza conseguenze psicologiche. Il fango non è solo nelle strade e nei garage, si infila ovunque, anche dentro le persone. L'aspetto psicologico come sempre viene trascurato, relegando tutto ad una mera questione materiale che è solo parte del problema.
Una volta che i volontari hanno svuotato le case, che è sparito il fango dai pavimenti, che le strade assumono una parvenza di normalità, le persone restano sole con la tragedia che li ha colpiti. Non ci sono più giovani che cantano in strada, selfie nel fango, non c'è più il testa bassa e pedalare. C'è un momento di attesa dove si fanno i conti con tutto ciò che si è perso.
Se poi a tutto questo si aggiungono altre piogge, la tensione nel vedere che l'acqua si alza di nuovo perché l'impianto fognario è quasi ovunque al collasso, le cantine che vengono asciugate ma si riallagano continuamente dopo oltre 20 giorni di fatica, si capisce quale sia la situazione emotiva delle persone e come queste, soprattutto le più fragili, abbiano bisogno di un supporto.
La rinascita
Ancora una volta è il momento di garantire una ripresa rapida con un aiuto economico, ma su questo le cose sono semplici: i soldi devono arrivare a chi ha perso casa e auto.
Ma è anche il momento di comunicare, a tutti i residenti dei quartieri colpiti, l'intenzione da parte delle istituzioni di mettere al sicuro questo territorio perché quanto successo non ricapiti più. In primo luogo attraverso gli interventi di pulizia e in alcuni casi ricostruzione dell'impianto fognario, in secondo attraverso grandi opere che partano dalle aree montane, che sono il luogo dove la maggior parte dell'acqua è stata raccolta, e arrivino fino alla pianura dove non basteranno due casse di espansione ma servirà una vera e propria reingegnerizzazione del sistema fluviale e della pianificazione urbanistica.
E' poi un tema importantissimo l'emergenza abitativa. Bisogna garantire a tutti coloro che non possono abitare in casa loro una abitazione dignitosa, effettuando un censimento delle reali esigenze di ognuno e dando priorità a chi non ha parenti stretti in grado di ospitare. E' necessario anche censire il patrimonio immobiliare sfitto, ed agevolare i proprietari delle abitazioni libere ed in buone condizioni ad affittare queste case agli alluvionati a prezzi calmierati dalle istituzioni.
Infine un tema apparentemente secondario: quello delle aree verdi. L'importanza delle aree verdi è sia ambientale che sociale. Alcuni spazi verdi della città, primo fra tutti il bellissimo Parco Urbano Franco Agosto, sono in condizioni di grande sofferenza. Non possiamo tralasciare questo aspetto perché dobbiamo concentrarci sui cittadini in difficoltà nelle loro case, dobbiamo avere la forza, come società, di seguire entrambe le cose. I parchi non sono luoghi "naturali", sono luoghi fortemente antropizzati dove la natura è stata guidata per essere accogliente per noi uomini. I grandi alberi che vediamo ora nei parchi hanno 30 anni o più e rappresentano un patrimonio che non possiamo perdere e che non si può rigenerare rapidamente. Se lasciati al corso della natura senza interventi, i parchi inondati dal fango non saranno più accoglienti per anni, perché i tempi della natura sono lunghi e non basterà piantare qualche alberello per riaverli come prima.
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